Dagli oli esausti alle bucce d’ananas, fino ai fondi di caffè: c’è un’Italia dell’innovazione che intercetta sprechi e li rimette in circolo come prodotti per la stampa, la moda e l’energia. È un tassello concreto dell’economia circolare, che nel nostro Paese vale circa 15 miliardi di euro e conta oltre duecento realtà innovative attive tra energia, agroalimentare e tessile.
Nel frattempo il sistema Paese macina risultati sul fronte imballaggi: nel 2022 è stato riciclato il 71,5% dei rifiuti di imballaggio, pari a 10,4 milioni di tonnellate, con un recupero totale (includendo l’energia) all’80,5%. Numeri che superano gli obiettivi europei fissati per il 2025 e il 2030.
Di seguito, tre storie che mostrano come il “vietato buttare” possa diventare un modello di business scalabile.
Virus Rethink Black
Virus Rethink Black è un esempio concreto di come l’upcycling possa generare soluzioni ad alto valore aggiunto. Alla base c’è un’idea semplice ma potente: trasformare scarti organici e biosolidi in un pigmento nero di nuova generazione. Il processo passa attraverso un sistema di biodryer e pirolisi sviluppato da Bioforcetech, realtà con impianti in California e una presenza anche nel Nord Italia. Da qui nasce OurCarbon, il materiale che, integrato da Virus Inks (Bergamo), diventa ingrediente per un inchiostro water-based ad alte prestazioni, pensato soprattutto per la stampa tessile e, dove opportuno, per packaging e cartone.
La logica è chiaramente quella dell’upcycling: un rifiuto che non ha più valore nel suo stato originario si trasforma in materia prima funzionale e competitiva. L’iniziativa ha già trovato sbocchi concreti, con esempi come la collaborazione con Print Natural, che utilizza la combinazione OurCarbon + Virus posizionandola come soluzione carbon-negative. In pratica, non solo riduce l’impatto ambientale, ma lo ribalta, generando un bilancio climatico positivo.
Il risultato si vede soprattutto nelle applicazioni dove il nero deve essere protagonista: tessile, packaging, supporti porosi. Qui il pigmento mostra intensità cromatica e performance elevate, offrendo al contempo un’alternativa al carbon black fossile, con tutti i vantaggi in termini di sostenibilità e salute, dato che elimina i profili tossicologici tipici dei derivati petrolchimici.
Vérabuccia (Lazio): Ananasse™, la “pelle” che nasce dalla buccia dell’ananas
Con Vérabuccia®, i designer Francesca Nori e Fabrizio Moiani hanno brevettato un processo bio‑based che rigenera la buccia d’ananas prima che inizi la decomposizione, preservandone la texture e trasformandola in fogli da assemblare in pannelli: Ananasse™. La raccolta materia prima avviene nel circuito HO.RE.CA. e nella GDO della zona di Bracciano (RM); il ciclo dura circa una settimana e produce un materiale flessibile, stabile e imputrescibile. Finora il team ha recuperato 1.000 kg di bucce, realizzando prototipi (borse e calzature) e inviando campioni a potenziali clienti; tra le prospettive, superfici per interior come pavimenti e piastrelle.

Che cos’è Ananasse™: un materiale brevettato di origine vegetale per la moda e il design, sviluppato per ridurre gli scarti organici non commestibili mantenendo un’estetica “exotica‑like”.
Rcoffee (Lazio): dai fondi di caffè al pellet ad alta resa
Tre studenti di Roma Tor Vergata — Arash Moazenchi, Matteo Villani e Marco Oliva — hanno fondato Rcoffee per riciclare fondi di caffè (anche da capsule esauste) e trasformarli in pellet. Il processo prevede essiccazione, pellettizzazione con una piccola quota di segatura riciclata e setacciatura. Secondo test citati dalla stampa di settore, il pellet da caffè mostra potere calorifico medio superiore del 15% rispetto a quello tradizionale e minori emissioni di CO₂ (5,41% vs 6,43%), con benefici in efficienza ed impatto.
Sui volumi, la giovane impresa dichiara collaborazioni con sei società e obiettivo 400 tonnellate di fondi riciclati entro l’inverno 2024, con una roadmap di crescita che mira a consolidare il business anche fuori dall’Italia.

Perché interessa a chi fa impresa
- Compliance & branding: materiali e ingredienti “circolari” aiutano a decarbonizzare le filiere (packaging, cosmetica, automotive, moda) e a differenziare l’offerta verso consumatori e partner sensibili alla sostenibilità.
- Filiera italiana del riciclo: l’alto tasso di riciclo degli imballaggi conferma una base infrastrutturale e culturale su cui le startup possono innestare innovazioni di prodotto e di processo.
- Riduzione della dipendenza da fossili: inchiostri e lubrificanti bio‑based riducono l’esposizione a volatilità di prezzo e vincoli reputazionali legati a petrolio, palma e soia.
Le prossime mosse
- Scalabilità: feedstock costanti (oli esausti, bucce, fondi di caffè) e accordi di filiera con HO.RE.CA., GDO e vending saranno decisivi per stabilizzare costi e qualità.
- Certificazioni & standard: conformità per packaging alimentare, cosmetici e biolubrificanti; tracciabilità e LCA come fattore competitivo.
- Go‑to‑market: da prototipi a forniture continuative per brand moda, cartotecniche e operatori energia; attenzione a partenariati industriali e programmi di accelerazione.