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La morte che rigenera il mare

In un’epoca in cui la sostenibilità è diventata necessità concreta più che semplice parola d’ordine, emergono idee capaci di unire etica, innovazione e impatto ambientale positivo. Tra queste, Resting Reef si distingue come un esempio emblematico: un progetto che trasforma le ceneri umane e animali in barriere coralline artificiali per rigenerare la vita marina.

Fondata nel Regno Unito da due giovani innovatrici, Louise Skajem e Aura Murillo Pérez, Resting Reef propone un’alternativa radicale alle pratiche funebri tradizionali. Il principio è semplice e potente: unire le ceneri a un materiale composto da gusci d’ostrica e minerali marini, modellandole in strutture che vengono poi adagiate sui fondali marini per costituire nuovi habitat.

Il risultato? Un monumento commemorativo che non solo onora la memoria del defunto, ma contribuisce attivamente alla rigenerazione della biodiversità acquatica. Non più tombe, ma rifugi per coralli, molluschi, pesci e alghe. Non più distruzione, ma rinascita.

Ripristinare la vita nei fondali compromessi

Negli ultimi decenni, l’erosione delle coste, la pesca intensiva e l’inquinamento hanno devastato molti ecosistemi marini. Le barriere naturali, un tempo vive e pulsanti, sono oggi ridotte a paesaggi spogli e sterili. È qui che Resting Reef interviene.

Nel progetto pilota avviato nel 2024 a Bali, le barriere memoriali hanno mostrato risultati sorprendenti: una biodiversità 14 volte superiore rispetto alle zone circostanti e 84 specie diverse registrate in pochi mesi. I reef non solo favoriscono la crescita della fauna marina, ma migliorano la qualità dell’acqua, combattono l’erosione e aiutano a catturare anidride carbonica.

Sostenibilità vera, non greenwashing

Il concetto di sostenibilità spesso viene svuotato di significato. Resting Reef, al contrario, lo incarna in modo completo:

  • Economia circolare: l’uso di gusci riciclati, scarti marini e materiali ecocompatibili riduce gli sprechi e valorizza risorse altrimenti inutilizzate.
  • Impatto climatico ridotto: la cremazione tradizionale ha un’impronta di carbonio elevata. Con questa soluzione, parte di quelle emissioni viene compensata dalla CO₂ assorbita nei reef.
  • Sostegno alle comunità locali: i reef vengono installati in aree in difficoltà ambientale e sociale, coinvolgendo pescatori, tecnici e ricercatori del posto.
  • Educazione ecologica: il progetto diventa anche strumento di sensibilizzazione culturale sulla fragilità e importanza dell’ambiente marino.

Il valore simbolico

Ma oltre all’aspetto tecnico, è impossibile ignorare la forza simbolica di questo gesto: restituire il corpo alla natura non come fine, ma come seme. Non è solo una “fine sostenibile”, è una nuova forma di continuità: lasciare un’impronta che genera vita anziché consumo.

In un mondo in cui la morte viene spesso rimossa, ignorata o commercializzata, Resting Reef propone una visione più umana e più naturale. Una transizione che ha senso non solo biologico, ma culturale.

Un modello da seguire

Sebbene il servizio sia attualmente operativo solo per animali domestici (con reef attivi a Bali), i primi progetti nel Regno Unito per esseri umani sono già in fase di autorizzazione. Le barriere saranno installate lungo le coste della Cornovaglia e del Devon, con il primo lancio previsto entro il 2026.

Nel frattempo, l’idea si sta diffondendo e promette di diventare un paradigma replicabile anche in Italia, dove mari come l’Adriatico o il Tirreno soffrono di degrado e impoverimento delle coste.

Resting Reef rappresenta una delle rare idee capaci di unire spiritualità, scienza e sostenibilità. È un atto di responsabilità e di amore che va oltre la vita, con una concretezza che manca a tante iniziative “verdi”.

La morte diventa così non più un peso per la Terra, ma un dono al mare.


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