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Le banche finanziano la crisi climatica

Il rapporto Banking on Climate Chaos 2025 rivela una realtà allarmante: le principali banche mondiali continuano a finanziare massicciamente l’industria dei combustibili fossili, nonostante le crescenti evidenze scientifiche sull’urgenza di ridurre le emissioni di gas serra.

Finanziamenti in aumento: un trend preoccupante

Nel 2024, 48 delle 65 maggiori banche globali hanno incrementato i loro investimenti nei combustibili fossili, portando il totale a 869 miliardi di dollari, con un aumento di 162 miliardi rispetto all’anno precedente. 

Di questi, 429 miliardi sono stati destinati a progetti di espansione, segnando un incremento di 84,4 miliardi rispetto al 2023. 

Dal 2016, anno dell’Accordo di Parigi, le banche hanno finanziato il settore fossile con 7.900 miliardi di dollari. 

I principali attori della finanza fossile

Le banche statunitensi guidano la classifica dei finanziatori dei combustibili fossili:
JPMorgan Chase: 53,5 miliardi di dollari nel 2024
Bank of America: 46 miliardi
Citigroup: 44,7 miliardi

In Europa, la britannica Barclays si distingue con oltre 35 miliardi di dollari investiti.

Impatti globali e responsabilità

Il continuo sostegno finanziario ai combustibili fossili da parte delle grandi banche globali si pone in netto contrasto con le raccomandazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che ha dichiarato con chiarezza come ogni nuovo investimento in progetti fossili sia incompatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C. La transizione energetica richiede un’immediata inversione di rotta, ma i flussi finanziari continuano ad alimentare industrie che accelerano la crisi climatica, ritardando soluzioni sostenibili come le energie rinnovabili e le infrastrutture resilienti.

Le conseguenze di questa finanza fossile ricadono in modo sproporzionato sulle fasce più fragili della popolazione globale. Le comunità indigene vedono le proprie terre devastate da estrazioni invasive e progetti industriali che minacciano ecosistemi millenari, senza alcun consenso informato. I piccoli agricoltori devono affrontare fenomeni climatici estremi sempre più frequenti – siccità, alluvioni, perdita di biodiversità – che compromettono la loro sussistenza. Le popolazioni vulnerabili, spesso già escluse dai circuiti decisionali, subiscono le peggiori conseguenze sanitarie, economiche e ambientali, mentre i benefici dei profitti restano concentrati in pochi centri di potere finanziario. Questo squilibrio evidenzia l’urgenza di riforme strutturali, che vincolino gli investimenti a criteri di giustizia climatica e inclusione sociale.

Dall’impegno al disimpegno: il fallimento delle promesse green

Negli ultimi anni, molte banche hanno progressivamente abbandonato o ridimensionato i loro impegni climatici, dimostrando quanto le dichiarazioni di intenti non siano state accompagnate da una reale volontà di cambiamento strutturale. Un caso emblematico è quello della Net-Zero Banking Alliance (NZBA), lanciata nel 2021 sotto l’egida delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di allineare i portafogli finanziari all’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050. Inizialmente accolta con entusiasmo e presentata come una svolta per il settore bancario, l’alleanza ha progressivamente perso credibilità e adesioni.

Secondo il report Banking on Climate Chaos 2025, oggi meno della metà degli istituti originariamente membri risulta ancora attivamente coinvolta. Molti si sono ritirati o hanno di fatto congelato le proprie attività, lamentando limiti operativi, resistenze interne o semplicemente anteponendo gli interessi di profitto immediato agli impegni di lungo periodo. Questa emorragia dimostra come, in assenza di regole vincolanti e meccanismi di trasparenza e monitoraggio, le alleanze volontarie rimangano strumenti deboli, facilmente aggirabili. Di fronte alla crisi climatica in atto, non possiamo più affidarci alla buona volontà del settore finanziario: servono normative chiare, sanzioni per chi viola gli impegni e incentivi concreti per chi investe davvero in un futuro sostenibile.

La necessità di un cambiamento strutturale

Il rapporto Banking on Climate Chaos 2025 lancia un messaggio inequivocabile: il tempo delle dichiarazioni di principio è finito. Di fronte all’inerzia del settore bancario e al suo persistente sostegno all’industria dei combustibili fossili, emerge con forza l’urgenza di introdurre regolamentazioni vincolanti e uniformi a livello internazionale. Finora, la strategia basata su impegni volontari, adesioni simboliche ad alleanze e generici proclami di sostenibilità si è rivelata largamente inefficace. Le banche continuano a finanziare massicciamente attività ad alta intensità di carbonio, senza subire alcuna conseguenza tangibile.

Per garantire un futuro climaticamente sostenibile, è indispensabile trasformare gli obiettivi ambientali in norme cogenti, capaci di orientare realmente le scelte d’investimento. Ciò significa definire limiti precisi all’esposizione verso progetti fossili, introdurre criteri ESG rigorosi e verificabili, e implementare meccanismi di controllo e trasparenza accessibili al pubblico. Occorre anche sostenere la transizione con strumenti di finanza verde credibili, che incentivino l’innovazione sostenibile e penalizzino le pratiche ad alto impatto. Senza un cambiamento normativo profondo e tempestivo, il settore finanziario continuerà a muoversi in direzione opposta rispetto agli obiettivi climatici globali, mettendo a rischio non solo l’ambiente, ma anche la stabilità economica e sociale delle generazioni future.

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