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I re del deserto

La siccità non è più un evento eccezionale. È una costante che cresce, si espande, si intensifica. L’intera Europa settentrionale ed orientale, dal Regno Unito alla Turchia, è alle prese con una delle peggiori crisi idriche mai registrate. Ma sono i Paesi mediterranei a pagare il prezzo più alto: secondo una nota della BCE redatta insieme a esperti dell’Università di Oxford, Italia, Spagna, Grecia e Portogallo rischiano di perdere fino al 30% dei raccolti. E la conseguenza non è solo agricola. L’impatto sulla produzione economica complessiva dell’eurozona potrebbe toccare il 15% del PIL.

Eppure, mentre si moltiplicano le allerte ambientali ed economiche, il mondo della finanza sembra guardare altrove. O, meglio, guardarsi allo specchio. È notizia di questi giorni che un banchiere italiano, a capo di uno dei gruppi finanziari più grandi d’europa, sia stato nominato “banchiere dell’anno” dalla Börsen-Zeitung. Il riconoscimento, tra le motivazioni, premia la “leadership sostenibile” e la “capacità di generare valore”. Un tempismo singolare, se si considera che l’Eurotower ha appena sottolineato il rischio sistemico legato alla crisi climatica, evidenziando come oltre un terzo dei prestiti bancari sia esposto a settori vulnerabili alla carenza d’acqua.

La domanda sorge spontanea: valore per chi? Per l’ambiente? Per le comunità locali? O semplicemente per gli azionisti, come sembrano suggerire i maxi dividendi distribuiti a suon di miliardi?

Nel frattempo, le banche fisicamente spariscono dai territori. Le filiali chiudono, i servizi si digitalizzano, la presenza si riduce. In Italia ci sono ancora 34 filiali bancarie ogni 100mila abitanti, ma la tendenza è al ribasso ovunque. Nei Paesi Bassi le tre principali banche – che controllano il 90% del mercato – hanno chiuso il 75% degli sportelli in pochi anni. La desertificazione non è solo climatica, è anche sociale. È un’economia che si ritira, che taglia i ponti con i territori più fragili, lasciandoli esposti al collasso senza neppure una filiale a cui rivolgersi.

E proprio mentre si smaterializza la banca, evapora anche l’acqua, e con essa l’equilibrio economico di interi settori. La BCE parla chiaramente: senza un’inversione di rotta, aumenteranno i default aziendali, salteranno i prestiti, si innescheranno nuove crisi. Eppure, la sensazione è che per molti istituti sia ancora più interessante contenere i costi, chiudere sportelli, mantenere i margini e distribuire utili. Come se l’unica variabile rilevante fosse quella del prossimo bilancio trimestrale.

Siamo certi che sia questa la leadership di cui abbiamo bisogno? Quella che riceve premi mentre si prosciuga il terreno sotto i piedi? La sensazione è quella di un re acclamato, ma circondato dal nulla. Il re del deserto, appunto. Ma può un re sopravvivere a lungo se il regno intorno a lui si sgretola? Se le fondamenta – l’ambiente, i territori, le imprese reali – si disfano in silenzio?

Sono domande scomode, ma urgenti. Perché mentre si celebrano i manager, l’acqua finisce. E con essa, l’economia che fingiamo di governare.


Per approfondire:

https://www.nature.com/articles/s41586-025-09047-2

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