Benvenuti nell’ESG distopico. È ufficiale: la sostenibilità ha cambiato faccia. Euronext, il consorzio che unisce le principali Borse europee, ha deciso di riscrivere le regole dell’investimento responsabile. Non più solo Environmental, Social, Governance, ma anche Energia, Sicurezza, Geostrategia. Tre parole che sanciscono l’ingresso della difesa – ovvero dell’industria bellica – nel club esclusivo delle “aziende sostenibili”. Benvenuti nella distopia orwelliana del riarmo europeo.
Quando le bombe diventano “etiche”
In nome della “sicurezza strategica” e sotto la spinta del piano ReArm Europe da 800 miliardi di euro, Bruxelles allenta i criteri ESG per includere anche le aziende del settore militare. Euronext ha fatto il primo passo: non solo incoraggia le agenzie di rating ESG a ignorare le attività non vietate dai trattati internazionali, ma ha anche lanciato un nuovo segmento obbligazionario per finanziare le imprese della difesa. E a giugno arriveranno nuovi indici “ESG” – sì, con le stesse iniziali – ma riferiti a tutt’altro: energia, sicurezza, geostrategia.
In altre parole: se prima ESG significava evitare armi e combustibili fossili, oggi potrebbe significare finanziare carri armati e ordigni nucleari. Perché? Per “la sicurezza europea”. Per “l’autonomia strategica”.
ESG: da principio etico a paravento ideologico
Non ci giriamo intorno: questa è una torsione semantica e politica che rischia di svuotare l’ESG del suo significato originario. Nasceva per spingere il capitale verso modelli più giusti, più verdi, più umani. Ora si piega a logiche geopolitiche, assumendo che l’industria della guerra possa rientrare nelle “buone pratiche” finanziarie.
Certo, il mondo è cambiato. La guerra in Ucraina ha risvegliato l’Europa dal suo torpore strategico. Ma se tutto diventa ESG, allora nulla lo è più.
Si può davvero parlare di sostenibilità se tra le aziende premiate ci sono quelle che producono armi da fuoco, missili e sistemi di offesa bellica? L’unica sostenibilità che promuovono è quella del conflitto permanente.
La pericolosa deriva dell’“etica adattiva”
Questa mutazione dell’ESG è un segnale inquietante. Se l’etica può essere ridefinita secondo convenienza, allora diventa solo uno strumento di marketing geopolitico. La guerra non è, e non sarà mai, un pilastro della sostenibilità. Può essere inevitabile in alcuni scenari, ma non può diventare desiderabile, né tantomeno finanziabile con il bollino verde.
E noi?
Di fronte a questa svolta, la società civile, gli investitori etici, le aziende veramente sostenibili devono alzare la voce. Perché una cosa è la sicurezza, altra è la legittimazione finanziaria del complesso industriale bellico sotto il travestimento ESG.
Non possiamo accettare che la finanza responsabile venga trasformata in una foglia di fico per l’economia di guerra. L’Europa, se vuole davvero difendere i suoi valori, deve farlo senza svendere quelli che si è impegnata a costruire negli ultimi vent’anni: pace, giustizia climatica, responsabilità sociale.