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Il grande inganno

Per secoli abbiamo vissuto all’interno di una grande certezza: la moneta. Solida, onnipresente, indiscussa. Che fosse una moneta d’oro, un biglietto stampato o una cifra su uno schermo, essa rappresentava qualcosa di più del suo valore materiale: era un simbolo di ordine, un elemento invisibile ma potentissimo che teneva insieme le relazioni tra individui, gli stati, le economie. Il denaro è ciò che ha sempre garantito stabilità e fiducia, una lingua universale che parlava di lavoro, di scambio, di futuro. Nessuno osava metterlo in discussione: “funziona, esiste, basta crederci”.

Oggi, però, quella certezza traballa. 

Le crisi si rincorrono senza sosta: finanziarie, ambientali, geopolitiche. Le guerre ridefiniscono confini e priorità, i mercati reagiscono come creature isteriche, la fiducia – che è la vera materia prima della moneta – comincia a sgretolarsi. La recessione non è più un’eccezione ma una condizione diffusa, e la promessa implicita di una crescita infinita ha smesso di convincere. In questo scenario, la moneta – quel pilastro che sembrava incrollabile – inizia a perdere la sua aura di inviolabilità. Ma non con uno schianto. Piuttosto, con una lenta, quasi impercettibile frattura. Un’incrinatura che si apre nella mente collettiva, nella coscienza di chi comincia a domandarsi se ciò in cui ha sempre creduto sia davvero destinato ad essere eterno, e se sia davvero l’opzione migliore per il benessere univerale.

È un momento di straordinaria ambiguità, nel senso più drammatico e affascinante del termine. 

Un mondo che ha costruito la propria impalcatura su un’idea condivisa di fiducia – quella nel denaro come unità di misura di ogni cosa, persino di ogni esistensza – si ritrova a confrontarsi con la possibilità che quell’idea sia più fragile del previsto. Non è una teoria complottista, né una presa di posizione ideologica: è una semplice constatazione di fatto. Quando la fiducia viene meno, ciò che resta è una domanda aperta. E questa domanda comincia a circolare: se il denaro non è più garanzia, allora cosa può sostituirlo?

Ed è in questo spazio sospeso, in questa zona grigia tra ciò che è stato e ciò che forse verrà, che emergono nuove forme. Monete locali, valute complementari, sistemi di scambio comunitari, criptovalute decentralizzate. Esperimenti sociali, tecnologici, economici che non hanno ancora la forza di sovvertire l’ordine dominante, ma che già raccontano qualcosa: il bisogno profondo di nuove coordinate, di nuove strutture fiduciarie, di nuove narrazioni

Perché se il denaro è sempre stato una storia ben raccontata, forse è arrivato il momento di scriverne una nuova.

Non si tratta di un crollo, non ancora almeno, ma di un progressivo disallineamento tra la realtà e l’immaginario collettivo. Le persone, più o meno consapevolmente, iniziano a percepire che qualcosa si è rotto. Il denaro, che per generazioni è stato la base sicura su cui poggiare desideri, progetti, identità, oggi si mostra per quello che è: un accordo. E come ogni accordo, può essere messo in discussione. Può mutare. Può essere abbandonato.

Questa consapevolezza non è né rassicurante né facile da gestire. Ma ha in sé una forza creativa. Perché dal momento in cui si accetta che il vecchio non è più intoccabile, si può iniziare a immaginare il nuovo. Forse è la fine di un’epoca, forse è solo una transizione. 

Ma ciò che è certo è che stiamo vivendo un passaggio di straordinaria intensità emotiva e simbolica: la moneta, da eterno fondamento del reale, torna ad essere ciò che è sempre stata sotto la superficie – una scelta collettiva. E forse, proprio per questo, anche un’opportunità.

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