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Una verità scomoda

Di fronte all’ennesimo allarme lanciato dal Circularity Gap Report 2024 – che fotografa un pianeta sempre più avvinto nella spirale del consumo lineare – emerge con forza una verità scomoda, troppo spesso evitata nei discorsi istituzionali e nelle narrazioni patinate del green marketing: non basterà produrre in modo più “sostenibile”, non sarà sufficiente “riciclare di più” o “compensare” le emissioni. Per affrontare davvero la crisi climatica e ambientale serve un cambiamento radicale, quasi sovversivo, del nostro modello di sviluppo. Serve consumare meno.

Il Report pubblicato da Circle Economy in collaborazione con Deloitte è impietoso: oggi solo il 7,2% dell’economia globale è realmente circolare, un dato in calo rispetto agli anni precedenti. La distanza tra ciò che facciamo e ciò che dovremmo fare per restare dentro i limiti planetari non è solo ampia: è abissale. Stiamo estraendo, consumando e scartando a un ritmo che distrugge le basi stesse della vita sul pianeta, mentre continuiamo a cercare scorciatoie tecnologiche per mantenere intatto lo status quo.

Ed è qui che il linguaggio della trasformazione – spesso evocato ma raramente interiorizzato – acquista il suo vero significato. Quando diciamo che dobbiamo “ripensare”, “riprogettare”, “rifondare” o addirittura “stravolgere” il sistema, non stiamo parlando di piccoli aggiustamenti cosmetici, ma di mettere in discussione l’intero impianto della nostra economia basata sulla crescita infinita, sul consumo incessante e sull’obsolescenza programmata.

L’economia circolare, nella sua visione più autentica, non è un’etichetta da apporre su business che adottano pratiche leggermente più “green”, ma un invito a ridisegnare la nostra relazione con le risorse, con gli oggetti, con il tempo e – in fondo – con noi stessi. Significa creare valore senza creare spreco. Significa allungare la vita dei beni, rigenerare invece che buttare, privilegiare l’accesso rispetto al possesso. Ma soprattutto significa riconoscere che la riduzione dei consumi è una delle leve più potenti e al contempo più trascurate della transizione ecologica.

Eppure, parlare di “consumare meno” rimane tabù. Spaventa i mercati, mette in discussione i modelli di business dominanti, e costringe la politica a uscire dalla comfort zone delle promesse di crescita “verde”. Ma è proprio in questo spazio scomodo che si gioca il futuro: quello delle scelte collettive, dei limiti consapevoli, della qualità che prevale sulla quantità.

Non si tratta di tornare indietro, ma di andare avanti in modo diverso. Di immaginare un mondo in cui l’innovazione non è al servizio del superfluo, ma della rigenerazione. Dove il successo non si misura in oggetti acquistati, ma in risorse risparmiate. Dove l’economia lavora per la vita, e non viceversa.

Forse è proprio questo lo stravolgimento che serve. Non un sacrificio, ma una liberazione. Non una rinuncia, ma un risveglio.


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